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Intervista a de Angelis, il migliore – “Buon compleanno, Elio” – Autosprint n. 13/1984 – Gran premio del Brasile 1984

Erano tanti gli italiani che dovevano darci soddisfazioni, è rimasto lui, con la sua Lotus, a salire sul podio. Ha festeggiato il successo il giorno dopo, insieme ai ventisei anni. La sua storia di ieri: dalla partenza infelice, alla rimonta, al parziale successo.


L’articolo è stato, a suo tempo, pubblicato sul settimanale senza immagini, inserite qui a mero scopo illustrativo, sempre prestando risalto alle avvertenze di cui alla pagina “Contenuti del sito e contatti” del presente sito. I caratteri in grassetto e gli stampatelli del testo sono inseriti a fedele riproduzione dell’originale. Denis Jenkinson, cui nel testo si fa riferimento, è stato per alcune decadi uno dei giornalisti di riferimento del mensile “MotorSport”.

Domenica ha “grattato” l’asfalto del circuito di Jacarepaguá come un pentagramma. Ha girato su buone note leggendo bene lo spartito di una corsa, fino a metà svolgimento selvaggio, e facendosi regalare le note dell’encomio più fine che gli spettano di diritto.

RIO DE JANEIRO – Di una prima fila tutta italiana in questo Gran Premio del Brasile che ha dato il via al mondiale di Formula 1, è rimasto in piedi soltanto lui, Elio de Angelis, core de Roma, ventisei anni compiuti il giorno dopo questa grandissima corsa che gli si era promessa e che invece è finita sull’albo d’oro di Alain Prost. Risultare terzo al traguardo dopo il folletto francese ed il vichingo d’assalto Keke Rosberg, non è grancheissimo per uno avviatosi da una pole position quasi proterva per come era stata costruita in due giorni di prove. È stata tuttavia autentica impresa per come Elio l’ha saputa portare a capo, misurando il filo del gas, con un motore che singhiozzava non appena lui schiacciava sull’acceleratore. Non so se lo sapete ma Elio, domenica, dopo tre giri aveva deciso di buttare la Lotus nel prato e guadagnare il box a piedi. Invece ha tenuto duro perché in cinque anni di Formula 1 il mestiere gli ha insegnato la pazienza, oscura compagna di questo mestiere per folli che è pilotare ad altissima velocità. «Ho dovuto fare tutta la corsa con metà gas – ci ha detto – ad un certo punto era diventata una sfida con l’impossibile. Era scoraggiante guidare così. Non credevo di poter arrivare in fondo alla corsa senza poter sfruttare il potenziale del motore. È stato il sorpasso da me effettuato a Keke Rosberg a darmi speranza: me lo sono fumato senza neppure dover tenere il piede giù, fino in fondo. È stato allora che mi sono detto: vale la pena continuare. Penare ho penato tanto. Ma qualcosa ho raccolto. Poi, si capisce, Rosberg mi ha risuperato ma io intanto avevo capito quanto valga questa Lotus. Se non ha il motore a disposizione, ti attacchi a quello che ti può dare il resto della macchina: il telaio, i freni, le gomme. Io ho compreso a fondo quanto valga questo gioiello di Ducarouge».

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