Mike Doodson — “Face to Face. Elio de Angelis” — Grand Prix International – Special Issue 1981

L’intervista, a cura di Mike Doodson, è stata pubblicata in un numero speciale del defunto mensile “Grand Prix International”. La chiaccherata, risalente al periodo di pausa fra la stagione 1980 e la stagione 1981, si snoda attraverso varie tematiche tra cui la responsabilità di guidare il Team Lotus a una così giovane età, la Lotus 88, il rapporto con Mario Andretti, il legame con la Ferrari e la questione della sicurezza in pista. Non da ultimo, viene riservato spazio anche al Gran premio del Brasile 1980, il quale, in futuro, sarà oggetto di un apposito articolo separato. Il testo in lingua inglese è copiato con i caratteri e le spaziature presenti nell’originale. Segue una traduzione, a cura del presente sito, in lingua italiana ma per paragrafi.

AT 22 YEARS OLD, YOU ARE EVEN YOUNGER THAN SOME PAST CHAMPIONS LIKE EMERSON FITTIPALDI, NIKI LAUDA AND JODY SCHECKTER WERE WHEN THEY HAD THE OPPORTUNITY OF LEADING TOP GRAND PRIX TEAMS. HOW DOES IT FEEL TO BECOME THE LEADER OF TEAM LOTUS AT SUCH A YOUTHFUL AGE?

Obviously, it is a great opportunity for me to be given the leadership of my team. Yes, I still feel young, although I think I have enough experience to do the job.  At the same time, I will miss having Mario Andretti to help me, first of all as friend and secondly as a great driver.  I learned so much from him, not so much from the point of view of driving as in the important tricks of the trade which he showed me.  I certainly feel old enough to lead the team.  Being as young as I am can have its handicaps, though: I won’t feel free to do some of the crazy things which young guys of my age are sometimes inclined to do.  I know that things are a bit different when you are a team leader…. you carry a big responsibility which must be respected.

A VENTIDUE ANNI, SEI ANCHE PIÙ GIOVANE DI ALCUNI CAMPIONI DEL PASSATO COME EMERSON FITTIPALDI, NIKI LAUDA E JODY SCHECKTER QUANDO COSTORO HANNO AVUTO L’OPPORTUNITÀ DI ESSERE LA PRIMA GUIDA DI UNA SCUDERIA DI PRIMO LIVELLO. COME TI SENTI AD AFFRONTARE QUESTA SFIDA, ESSERE IL PILOTA DI RIFERIMENTO DEL TEAM LOTUS, COSÌ PRECOCEMENTE?

Sicuramente, è una grande opportunità per me essere insignito di tale onore. Sì, mi sento ancora giovane, quantunque io pensi di avere una certa esperienza in questa professione. Allo stesso tempo, mi mancherà non avere più Mario Andretti al mio fianco ad aiutarmi, primariamente in quanto è un amico, poi per la sua abilità da pilota. Ho imparato così tanto da lui, non tanto dal punto di pista del pilotaggio, quanto per i consigli che mi ha dato per affrontare questo mestiere. Mi reputo, di certo, abbastanza navigato per guidare la squadra. Essere giovani come lo sono io, può avere delle controindicazioni: non avrò più la libertà di prendermi dei rischi che le persone della mia età, talvolta, sono inclini a fronteggiare. Ho la consapevolezza che la situazione è ben differente quando ti viene data la possibilità di capeggiare la scuderia … ti addossi una responsabilità non da poco, la quale va onorata.

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Ayrton Senna —“Siamo tutti responsabili”, — Autosprint n.22/1986

L’editoriale, a firma di Ayrton Senna, è comparso sulla testata settimanale “Autosprint”, nel numero 22/1986. Con delle parole perentorie, uno stile serrato ed essenziale, Senna lancia, allo stesso tempo, un’accusa che è anche un grido di allarme, e sembra quasi volersi addebitare le colpe per l’accaduto, una sorta di responsabilità indiretta di matrice morale. Con i suoi approfondimenti e i suoi velati riferimenti, pare quasi far rivivere la dialettica di Jackie Stewart, andando a toccare alcune tematiche già di attualità scottante, più o meno tre lustri prima. Tra esse, annoveriamo il sempre più crescente ruolo dell’Associazione dei piloti, a cavallo fra gli anni sessanta e settanta, e l’argomento scivoloso della sicurezza latente di molti fra i circuiti europei, in particolar modo quelli, quasi privilegiati, inglesi. All’epoca di Stewart, i decessi in pista di Courage, Rindt e Siffert avevano sollevato questioni a cui si erano date risposte contraddittorie. La dipartita del friburghese, in particolare, aveva alimentato moltissime discussioni sul da farsi quanto alle misure per il controllo degli incendi, misure che non avrebbero dovuto, nell’ottica dell’interesse dei costruttori, portare all’aumento del peso delle vetture. Così, ebbero modo di avvicendarsi le indagini teoriche e gli esperimenti pratici sul modo di approcciarsi al fuoco. Si susseguirono incessantemente per qualche mese gli elicotteri-pompiere, l’Elefante bianco, i serbatoi Autodelta al fluobrene, la sacca Uniroyal, il mezzo antincendio Dubler e altro. Alcune discussioni erano approdate a qualche timida svolta: la presa di coscienza di rallentare alcuni circuiti con delle chicane (vedasi l’esperimento monzese del 1972 della loro reintroduzione a distanza di decenni), o la ricollocazione dei box in altri luoghi del tracciato, oppure come non ricordare l’antesignana della safety-car nella corsa di Clermont-Ferrand del 1972, una vettura guidata dall’ottimo Vic Elford, recentemente scomparso, la quale, solerte, prestò i primi soccorsi alla sfortunata retina di Helmut Marko. Chiusa questa mia breve introduzione, vi lascio alla lettura.

L’anno scorso Elio De Angelis era il mio compagno di squadra alla Lotus. Con lui ho avuto un rapporto professionale non dei migliori, ma di questo aspetto non voglio nemmeno parlare: c’era una grossa rivalità tra noi due. Dal lato umano, però, ho sempre stimato Elio. Era un uomo molto intelligente e gentile, uno che correva per il puro piacere di correre. In questo senso rappresentava forse ciò che un pilota dovrebbe sempre essere, un gentlemen. Troppo spesso noi della Formula 1 dimentichiamo l’aspetto umano. Solo quando capita l’irreparabile ci fermiamo, ci guardiamo attorno e pensiamo a quello che davvero è importante.

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“Ing. Chiti sees red!” – Autosport Vol.77/3

Si riporta ivi il testo originale, a cui segue una traduzione in lingua italiana a cura del presente sito.


We have heard of politics in Formula 1, but this is ridicolous! A report in Italy suggests that the arm of Autodelta boss Carlo Chiti has been twisted by political pressure in the purest sense of the term.

Apparently Chiti said that he wanted Elio de Angelis to drive for his Alfa Romeo Grand Prix team as number two to his new signing, Patrick Depailler. However, says the report, pressure on Chiti was then applied by Communist controlled unions, who declared that they were sure that Chiti would prefer to run the son of a worker from one of Italy’s state-owned companies (Bruno Giacomelli), in preference to the son of one of the richest capitalists in the country (de Angelis) …

The reported reaction of Autodelta was to agree to run Giacomelli once more, but to send a telex to Elio’s father, Giulio de Angelis, which stated that the series of former Brabham V12 engines would be made available to whichever team his son decided to race for in 1980.

Alfa Romeo, of course, have denied that there has been any pressure of this sort.

Could this be the source of the rumour that Don Nichols’s Shadow team would be using Alfa Romeo power units in 1980?

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