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Ricordo a venti anni dalla scomparsa – “Corriere della Sera” – 16 Maggio 2006

Vent’ anni fa, il 15 maggio 1986, moriva all’ospedale di Marsiglia Elio de Angelis, vittima, il giorno prima, di un tremendo incidente al Castellet mentre stava collaudando una Brabham, verso l’ora solitamente concessa al pranzo. Il distacco dell’alettone posteriore faceva impazzire la monoposto che si avvitava per aria e poi cappottava sei o sette volte finendo la corsa contro le barriere, 250 metri più avanti. Quando Elio ricevette i primi soccorsi era già in condizioni critiche. Nonostante la speranza di un miracolo, il giorno dopo Elio de Angelis cessava di vivere, come un matador ucciso da un toro d’acciaio. Aveva 28 anni, aveva corso con Shadow, Lotus e Brabham, aveva vinto due Gran premi (Austria e Imola), aveva conquistato tre pole position. Era stato certamente un gran pilota ma, più ancora, un grandissimo personaggio: un ragazzo serio, posato, un «professionista di grandi qualità – come ebbe occasione di scrivere allora, sul Corriere della Sera, Luca di Montezemolo – che ha pagato con la vita la mancanza di professionalità che spesso accompagna lo sport forse più pericoloso del mondo». Figlio di Giulio de Angelis, campione della motonautica salito alla ribalta non solo per le sue vittorie iridate ma anche perché vittima di un rapimento, Elio si era messo subito in evidenza con la Formula 3. Girava l’Europa col jet del padre, ospitando a bordo i suoi due grandi amici, Nelson Piquet e Piercarlo Ghinzani. Vinse, Elio, il Gp della Lotteria a Monza: lui, miliardario, aveva dispensato i miliardi del concorso nazionale. Un bel titolo per le pagine sportive del Corriere. Mi vide un giorno, in Germania, e mi disse: «Sai che quel titolo non riesco a perdonartelo? Non mi va giù di essere definito un miliardario per i soldi di mio padre e non un pilota. Il patrimonio di famiglia ti può anche aiutare, ma per andare avanti ci vogliono le qualità. E tutto ciò che mio padre mi ha dato, io gliel’ho già restituito». Continua a leggere Ricordo a venti anni dalla scomparsa – “Corriere della Sera” – 16 Maggio 2006

Autosprint Poster Story 1983 – “Se la Lotus mi assiste, il Titolo è mio”- Parte I

Nelle tasche cinque anni di Formula Uno. Nel piede e nella testa una gran bella testa, grinta, ambizione, intelligenza, dote, quest’ultima, che tanto nel pilota da F1 da trecento all’ora quanto nell’uomo della strada, ancora affascina. Le cronache sportive si occupano di lui dal 1977, ma poche persone, forse soltanto quelle che appartengono al suo piccolo mondo privato sanno qualcosa di Elio de Angelis. Una domanda viene spontanea: fanno bene Luis, l’argentino che gli vive incollato ai box dei gran premi (“il suo ricondurre ad un aspetto meno drammatico ogni situazione mi aiuta a superare mille difficoltà, mi calma” – dice dell’amico il pilota romano), Andrea Gallignani, il ventiseienne industriale bolognese che da quando lo ha sponsorizzato in F3 non lo ha più abbandonato, Roberto ed Andrea, i fratelli ‘da corsa’ di Elio (in passato si distinsero come eccellenti kartisti) e Ute, la graziosissima Ute, ad adorarlo? O ha ragione chi, con giudizi pieni di conveniente superficialità, lo etichetta come sbruffone doc, dalle qualità umane e professionali limitate? Per farla breve: il vero De Angelis è quello amato dalla gente che lo conosce bene, o quello odiato – ma forse è meglio dire invidiato – da chi sa soltanto come è fatto, fuori?

La risposta, la più logica, la diede indirettamente Colin Chapman quando nel 1979 lo volle con sé alla Lotus: Chapman non si accontentava di lavorare con un professionista molto dotato, voleva anche l’uomo che vale. Ed Elio valeva ieri come oggi. “Ricordo che rilasciò una bella intervista ad un giornale inglese, quando la stampa inglese era ancora tutta dalla mia parte” – attacca De Angelis – “nella quale diceva di aver trovato in me una volontà incredibile ed un coraggio di una pantera”. E aggiunge – “La prima volta che lo incontrai fu proprio nel 1979 quando realizzai un buon tempo classificandomi fra le Ferrari di Villeneuve e Scheckter, a Silverstone, con una Shadow che, stranamente, andò bene. Ricordo che in quella occasione Chapman venne da me, guardò la macchina che proprio non lo colpì per niente, quindi si interessò a me. In seguito ci fu la corsa di Watkins Glen ed, infine, i suoi collaboratori mi proposero il test con la Lotus al Paul Ricard, al quale parteciparono altri quattro piloti. È’ lì che io fui scelto”.

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