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Keith Botsford — “Nuances” — Grand Prix International n.85/1984

La traduzione in lingua italiana, a cura del presente sito, è stata inserita, nella sua completezza, dopo il testo originario in inglese. In questa lunga intervista Elio de Angelis si lascia andare a diverse riflessioni, inusuali rispetto a quelle che normalmente si leggono quando gli viene data la parola, le quali, in larga parte, riguardano prettamente la carriera. Spesso, Elio divaga, concedendosi riflessioni filosofiche, che si instillano nei meandri dei discorsi prettamente agonistici. Leggiamo, inoltre, quali fossero stati i suoi trascorsi musicali, e, addirittura, quali le future aspirazioni in questo campo. Quanto a Mansell, è vero che il rapporto fra Elio e Nigel si caratterizzò per alcuni anni connotato dalla turbolenza, tuttavia, è anche ben noto che, da un certo momento, non solo le divergenze furono appianate, ma pure le nubi passate si dileguarono del tutto, e sorse un sincero rapporto di stima reciproca, se non di vera amicizia. Ciò è testimoniato da alcuni passaggi dell’autobiografia del pilota inglese a cura di Hilton, oltre che, per esempio, da alcune considerazioni cui Rosberg si è lasciato andare in un’intervista a favore di MotorSport, pubblicata in questo sito. Si ricordi, inoltre, come lo stesso Mansell dedicò la propria vittoria a Spa-Francorchamps, nell’edizione del Gran premio del Belgio 1986, a Elio, all’epoca recentemente scomparso. Nel paragrafo dedicato alla “italianità”, Elio si lascia andare a un commento disilluso, dicendo che “l’Italia non mi ha mai seguito, almeno non nel senso voluto da me”. Si riferisce all’endemica tendenza nostrana — ma non solo — di conculcare l’antagonista di turno, a seconda di quali siano le convenienze e i preconcetti. La traduzione ha presentato alcuni punti “oscuri”, in cui ho dovuto ricorrere a un’intepretazione non pedissequa, prendendomi molte libertà. Tutti i casi sono, comunque, segnalati nel testo. Nel primo frangente, ho tradotto con molta larghezza di vedute, così: “Quanto alle corse in autodromo, poi, viviamo in un’epoca in cui, difficilmente, si possono congiungere questi due diversi modi di concepire le corse”. Mi è oscuro il termine “bridgetime”, e qui riconosco una mia limitatezza, né saprei dire se si tratti di un elemento di un qualche modo di dire anglofono, un idiom. Nel secondo caso, si trova una traduzione aggiuntiva, non presente nel testo originale: “(ndr “, della sua carriera nella musica se ne parlerà in futuro”)”, come se fossero stati presenti graficamente i puntini di sospensione al termine della frase. Nel terzo caso, rendo il termine “letter” come “firing letter”, dato il contesto della frase. Ci sono altri casi in cui mi dilungo, non volendoli enumerare tutti, utilizzando un numero di parole maggiore rispetto a quello adoperato in inglese da Bosford per esprimere lo stesso concetto. Si pensi ai discorsi sulle “dimensioni” dello spazio, raffrontate a quelle del mare, o le altre sulla crescita interiore e l’esperienza di vita. Per quanto riguarda i riferimenti calcistici: quello finale, cui allude Ute, attiene chiaramente al Campionato europeo di calcio per Nazionali maggiori, disputatosi in Francia nel giugno dell’anno dell’intervista; mentre quello precedente, fatto da Elio e risalente al 1982, è sbagliato: l’Italia disputò e vinse il Campionato del Mondo per Nazionali Maggiori 1982, in Spagna, a luglio, un mese prima della vittoria di de Angelis in Austria.


THE YOUNG MAN IS STILL ONLY TWENTY-SIX, BUT DALLAS WAS HIS 81ST GRAND PRIX, MORE THAN ROSBERG OR PROST. HE STARTED HIS F1 LIFE AS THE SON OF A RICH FATHER, ACQUIRED A REPUTATION AS A DILETTANTE; STUCK TO HIS GUNS AND THIS SEASON LIES THIRD IN THE CHAMPIONSHIP IN A HIGHLY COMPETITIVE LOTUS. COMPETITIVE AND RELIABLE, FOR ELIO HAS FINISHED EVERY RACE BUT ONE IN THE POINTS. THE MAN HIMSELF REMAINS PRIVATE, PATRICIAN, ROMAN IN SHORT.

____________________ by Keith Bosford ___________________

We are in the mall of Loew’s Anatole the day before the 1984 Dallas Grand Prix. Elio has to get to bed early to rise the morrow at 5.30 to get to warm-up. He needs his eight hours. The next day he will drive cooly and intelligently – against the grain of his car which is misfiring and his rubber which is gone – to finish third. On the eve of a race it’s not about that a driver wishes to talk. These are among his few private moments: sometimes, not always, drivers like to talk for it articulates their feelings.
We begin on America, because that is where we are, in Dallas heartland; and Elio’s not happy here. “Americans are so different from Europeans,” he begins. “I used to like it more here,” he continues; “but I was myself different in those days. But now I see that there is a culture gap between Europe and America that you really can’t ever bridge.” Of course, he agrees that his profession is a barrier. It’s hardly bridgetime at the track. “I know it’s a superficial judgement, but I couldn’t really live here. But one thing I do like is that in America you can live your own life, you can create it yourself.” Drivers, we agree, don’t lead real lives. “I go to a place to drive,” says Elio. “That distorts life.”

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