Se non «sfonda», Elio de Angelis tornerà a fare il pianista.
Da due stagioni, Elio De Angelis è il pilota italiano meglio piazzato nella classifica mondiale. Ma non gli basta, lui vorrebbe vincere …
Non capita spesso di intervistare un pilota di Formula 1, che nei momenti liberi ama comporre musica rock, jazz o blues, a seconda dei casi e degli umori. Lo incontro in uno di questi ormai rari momenti.
“Quale passione è cominciata prima, quella delle corse o quella della musica?”
“Ho sempre avuto la passione delle macchine da corsa – mi dice Elio – figurati che quando avevo tre anni, andavo all’asilo delle suore vicino a casa mia, pedalando su una macchina sport. Mia madre aveva perfino chiesto alla madre superiora il permesso di farmi parcheggiare nel cortile. Arrivai anche a schiavizzare i miei fratelli, perché mi spingessero per andare più forte con l’automobilina sulla discesa di fronte a casa nostra.
Non so come ho fatto a non rompermi l’osso del collo. A casa si è sempre parlato di automobili; d’altronde mio padre ancora prima di correre sui motoscafi, aveva corso varie gare con le Lancia sport. Tutto questo mi ha molto influenzato”. Mi racconta un episodio di quando aveva otto o nove anni e con il fratello salì di nascosto sulla macchina del padre: – “Nonostante avessi messo un cuscino sul sedile, non arrivavo ai pedali e andai a sbattere contro il cancello di casa. Fu il mio unico incidente. Lasciai stare le macchine e iniziai a correre sugli sci, nei campionati regionali corsi fino a quattordici anni. Quello stesso anno per festeggiare il mio compleanno, anziché dare una festa, organizzai una sfida tra amici, alla Pista d’Oro con i kart. Ero decisamente il più veloce, mio padre se ne accorse e cominciò a considerare questa mia passione con più riguardo. Come risultato ottenni il permesso di correre sui karts. Era anche l’unico modo per farmi studiare, probabilmente se non avessi avuto qualcosa con cui correre, sarei rimasto un somaro. Arrivai alla maturità scientifica e con essa la prima macchina per correre. Cominciai così; un pò per sfida, un pò per scommessa, ma più che altro con una gran voglia di mostrare quello che sapevo fare. Mio padre non mi avrebbe mai messo in mano un mezzo che non sapevo usare. La macchina era una Chevron e lui mi disse: ora arrangiati, dimostra che ci sai fare, perchè questa è l’ultima volta che ti finanzio, anche per rispetto verso i tuoi fratelli (in seguito non mantenne la promessa). Quello stesso anno vinsi la mia prima corsa di campionato italiano, al Mugello. Avevo diciotto anni. E’ incredibile la sensazione che hai la prima volta che tagli il traguardo per primo; vedi tutti i tuoi sogni di bambino avverarsi, sei invaso da un senso di felicità, di sicurezza, ma anche di responsabilità verso il tuo mezzo e la gente che ha avuto fiducia in te: è la verifica che ce la puoi fare”.
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