“Se la Lotus mi assiste, il titolo è mio” — Autosprint Poster Story 1983 – Parte II

Chi merita di prendersi delle rivincite nel 1984?

“Quelli che l’anno scorso pilotavano vetture col Cosworth. Nel mio caso non si tratterà di rivincite, perché io debbo ancora ricevere qualcosa. Nella vita, in ultima analisi, tutto si bilancia. Un altro che ha dato molto e ricevuto poco è Riccardo”.

Perchè Alboreto alla Ferrari e non De Angelis?

“Lui ha saputo mettere a frutto l’esperienza degli altri piloti che hanno cercato di entrare alla Ferrari. Io non ci ho mai provato: quando fui inserito nei programmi della squadra di Maranello ero giovanissimo. Non ho mai pensato di pilotare la Ferrari. L’eventualità non si è mai presentata. Debbo dire che Michele ci ha saputo fare dal punto di vista diplomatico ed ha raccolto quanto ha seminato”.

La scuola romana è più forte di quella lombarda in Formula Uno?

“Forse è più forte la lombarda dei Giacomelli, degli Alboreto, dei Fabi, se si considerano i risultati”.

Alboreto ha dichiarato che per un buon punteggio senza acuti nel mondiale ’84 non sacrificherebbe una vittoria in un gran premio. La pensi così anche tu?

“Io credo di vincere il campionato del mondo”.

De Angelis è più o meno popolare di Patrese, Alboreto, De Cesaris?

“E’ allo stesso grado di popolarità”.

Piloti di Formula Uno si nasce?

“Si nasce e ci si costruisce per diventarlo”.

Che cosa si deve fare?

“Occore fare una scelta a 14 anni. Invece del motorino, bisogna comperare il go-kart. Bisogna rinunciare alla prima ragazzina perché non la si può portare in pista”.

E alla seconda?

“Alla seconda no. Però è una vita di sacrifici. La gente spesso non sa che la nostra è una vita difficile, una vita stressante. Un uomo che vuol fare carriera, ad esempio un imprenditore, ha vent’anni a disposizione per mostrare agli altri ciò che sa fare. Noi no, solo quattro o cinque. Dieci quando va benissimo. Quindi è tutto molto più accellerato. Si invecchia in fretta”.

Se la gente dice che sei il più bravo pilota di Formula Uno, cosa rispondi?

“Per modestia dico che si sbaglia. Ma in fondo so che sono il più forte”.

E se dice che sei troppo ambizioso?

“È così, lo confermo. L’ambizione è la voglia di riuscire e quindi una volontà fuori dal comune. Per me è strettamente collegata al successo”.

Come si fa ad andare d’accordo con gli inglesi?

“In un certo senso non mi piace il loro modo di vivere. Mi piace però il loro modo di definire le cose meccaniche, le loro macchine. Mi piace la loro mentalità da corsa”.

Sei contento di essere italiano, oppure pensi di essere nato nel paese sbagliato?

“Preferisco non rispondere, il discorso sarebbe molto lungo”.

Lungo ma interessante.

“No, io sono fiero di essere italiano. Ma molte cose dell’Italia non mi vanno bene”.

Quali sono i tuoi colleghi coi quali usciresti volentieri a cena e chi, invece, eviteresti?

“Mi fa piacere uscire a cena con Laffite, Nelson, Rosberg, Eddie. Un pò meno con Tambay, perchè non ci capiamo. Arnoux? Beh, è divertente”.

Ti sei mai sorpreso di guardarli dall’alto in basso?

“Sul piano umano, più di una volta. Spesso, durante le riunioni dei piloti, mi sono sentito un pesce fuor d’acqua. Non perché mi ritenessi superiore a loro ma perché non mi trovavo d’accordo su molti punti. Ho perfino pensato che alcuni di loro sapessero fare solo il pilota”.

In Formula Uno è importante essere accettati dagli altri piloti?

“Si, è importante. Ma tutti debbono conquistarsi i galloni sul campo. Io mi sento accettato dagli altri. Anche se il primo anno è stato difficile. Ricordo un diverbio con Alan Jones ed uno con Villeneuve perché non sapevo riconoscere bene le macchine dagli specchietti. Però l’anno scorso mi sono ritrovato io a chiedere ad un collega – ‘Ma tu li guardi gli specchietti?’- Allora mi sono detto – ‘Avevano ragione’. Debbo peraltro aggiungere che in due anni io ho imparato a guardare gli specchietti. Altri no”.

Che ricordo hai di Villeneuve?

“Un ricordo affettuoso, perché nonostante ci fossimo detti ciò che pensavamo l’uno dell’altro, ci rispettavamo. Io più di una volta gli ho detto che era un pazzo, che si sarebbe fatto del male: lui era velocissimo, ma troppo istintivo”.

Perchè gli appassionati italiano si scaldano poco quando sei tu a menare la danza?

“Probabilmente perché non mi curo molto dello spettacolo. Ci sono delle astuzie che molti non comprendono. La ruota messa in un certo modo, la frenata particolare, il cambio degli pneumatici effettuato in un certo giro sono parte del mestiere. Anche io sono capace di sferrare … ruotate a qualcuno: ma non è detto che questo sia lo stile giusto. Gilles non aveva alcuno stile in questo senso. Però piaceva al pubblico proprio per questo. Ora è osannato, si costruiscono monumenti alla sua memoria … Io non voglio finire in quel modo. Non mi piace neanche pensare di essere ‘beatificato’. Gilles era un ‘puro’. Per questo ho cercato di avvertirlo”.

Mettiamo che la sicurezza delle monoposto sia una linea da 1 a 99. In questo momento a che punto ci si ferma?

“A sessanta”.

Cosa può essere ancora fatto per migliorarla?

“Dovrebbero essere ridotte le potenze dei motori, allargati gli pneumatici, riportare le pance dove erano prima per creare quella struttura che ora non c’è più; ora che abbiamo le pance corte e quindi un ostacolo laterale. Ormai le scocche sono sottilissime”.

So che Tambay un giorno scriverà un libro sulle “sue” esperienze in Formula Uno: De Angelis lo imiterà?

“Non ci penso proprio. Tambay ultimamente l’ho molto rivalutato, perché mi sono reso conto che ha svolto un buon lavoro con la macchina che aveva. Tempo fa i giornali riportarono una frase che mi ero lasciato sfuggire in camera – “Con la Ferrari sono tutti capaci a vincere” – e questo me lo ha inimicato. Cose che capitano. D’altronde, io non sono andato a spiegargli come erano andate le cose perché in fondo penso che non sia uno dei piloti più veloci, anche se è dotato di una grande volontà ammirevole”.

De Angelis sogna la Ferrari?

“Certo. E’ stata aperta una strada, con Alboreto, e spero che il commendatore non la abbandoni”.

Ti fa paura la superficialità degli altri?

“Si”.

Il giudizio più stupido che è stato dato su di te e quello più intelligente.

“Sono sempre due giudizi inglesi. Quello più stupido appartiene a Denis Jenkinson, lo ricordo bene – «La più grande disgrazia che sia capitata alla Lotus negli ultimi quattro anni è stata avere De Angelis come pilota». Il più bello, quello di Chapman, che mi ha paragonato a Clark”.

Quando ti sei trovato sui giornali non per una ragione prettamente sportiva, mi riferisco all’incidente con Jenkinson ad Hockenheim, che sensazione hai provato?

“Ho pensato che i giornalisti avessero fatto bene. Forse mi hanno dato morale. Mi è dispiaciuto soltanto per il fatto che da allora una parte della stampa britannica si è messa contro di me. Fino all’episodio della spinta a Jenkinson, si era dimostrata equa nei miei confronti. Oggi ci sono ancora molti giornalisti inglesi che tifano per me. Altri, i nazionalisti, sono per Mansell”.

I dirigenti di Formula Uno sono “da Formula Uno”?

“Sono adatti alla Formula Uno, ma non sono ‘da Formula Uno’. È come se tu mi chiedessi se quelli che governano in Italia sono adatti a farlo. Sono adatti, ma non all’altezza del compito”.

I piloti di Formula Uno hanno delle paure?

“Penso che la paura principale sia quella di morire, almeno è così per me”.

Dove si deciderà il mondiale 1984?

“Si arriverà alla calende greche. Sarà una lotta estenuante, a meno che la Lotus non vinca subito e si riveli una grande macchina”.

Allora Elio è da amare o da esecrare?


IVAN ZAZZARONI, “Poster-story. Elio de Angelis. Se la Lotus mi assiste, il titolo è mio, «Autosprint», Anno. XXIV, 1984, 1

Si ringrazia cordialmente “LOTUS 71”

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